Paolo Sorrentino ieri sera a Trastevere presenta La Dolce Vita di Fellini

07.09.2013 19:04

"«Più che la chiusura dei cinema caldeggerei la chiusura della critica». Paolo Sorrentino arriva al cinema America occupato di Trastevere, a Roma, accolto dagli applausi scroscianti di una sala stracolma, che lo attende per ascoltare la presentazione de La dolce vita di Federico Fellini. Ci sono tra le trecento e le quattrocento persone a questo appuntamento passato piuttosto inosservato eppure significativo. La dolce vita è il film a cui la maggior parte della stampa mondiale ha associato la sua ultima produzione, La Grande bellezza: per via di Roma, della decadenza, dello spaesamento. E le parole di Sorrentino su questa pellicola non possono non avere un sapore speciale. Sebbene egli continui a scansare qualsiasi accostamento: «Mi sembra irriverente», mette le mani avanti il regista, «il mio è un film che non ha niente a che vedere con questo capolavoro».

Sorrentino è ora su questo palco per una caso fortuito: una mattina – raccontano i ragazzi dell’occupazione, tutti giovani tra i sedici e i vent’anni – il regista passa dalla stradina davanti al cinema e li vede ridipingere l’entrata. Si ferma a domandare cosa stanno facendo e i ragazzi gli spiegano che hanno difeso il cinema dall’abbattimento e che ora stanno cercando di farlo vivere con le proprie forze, anziché lasciare che al suo posto venga alzata l’ennesima palazzina. Hanno una programmazione, molti artisti gli hanno già dato una mano. Altri lo faranno. Tra i possibili, ci confida uno degli attivisti, c’è anche Nanni Moretti: il quale sa dell’occupazione, è attratto, ma è anche uno «che ci tiene molto al principio di legalità, e dunque ha ancora delle riserve sul venire di persona: vedremo se riusciremo a fargliele superare». Sorrentino invece non ha di queste barriere. E infatti eccolo qui: «Ho accettato di venire a presentare il film – dice – perché ci tenevo a esprimere solidarietà e vicinanza a un’attività che mi sembra notevolissima. È stravagante che si decida di abbattere un luogo di cultura come questo. Un cinema degli anni ’30, di cui posso solo immaginare la storia».

Poi però Sorrentino – «per non ripetere banalità, cose che sappiamo tutti» – comincia a parlare di cinema: «Andando avanti negli anni, ho capito che è sempre più bello goderseli, i film, piuttosto che ragionarci sopra, come facevo da giovane. Su La dolce vita però vale ancora la pena riflettere, soprattutto davanti a un pubblico di così tanti ragazzi». Secondo il regista, infatti, il film di Fellini è «bello, certo: ma il fatto che sia bello non è così importante». L’aggettivo con cui lo classifica è: «Pericoloso». Perché il film esprime un «sentimento di costante transizione», che fa credere che nella vita non ci sia mai un punto d’arrivo. «Non a caso – spiega Sorrentino – è stato un film che ha suscitato reazioni scomposte, perché è un film che fa paura, modernissimo. Roma, l’Italia: vengono molto dopo, in questo film che in realtà racconta la difficilissima condizione di vita dell’uomo moderno».

Per tutto il suo intervento, Sorrentino ribadisce di non voler parlare de La grande bellezza e per tutto l’intervento non fa altro che parlarne: perché il pubblico non si rassegna a non vederci nessun accostamento, perché anche lui dopo la dichiarazione d’intenti si lascia un po’ andare. «Su di me, Fellini ha avuto un’influenza totale – ammette –. Nei miei film precedenti ci sono delle smaccate imitazioni di cose sue, ma i critici non se ne sono accorti. Invece ne La grande bellezza, dove non avevo nessuna intenzione di imitarlo, i critici hanno detto che lo copiavo. Ecco: più che la chiusura dei cinema, si dovrebbe caldeggiare la chiusura della critica».

La critica a La grande bellezza però non è stata unanime: i giudizi dei giornali italiani hanno oscillato tra la disapprovazione e l’accoglienza tiepida. Invece la stampa straniera è stata entusiasta. Il Guardian, tanto per citarne uno, ha dato al film il massimo dei voti. Europa lo fa notare al regista, chiedendogli se si è fatto un’idea del perché. «Penso – risponde – che le critiche siano pericolose sia quando sono negative (perché ti fanno arrabbiare) sia quando sono positive (perché ti fanno venire il sospetto che siano sbagliate e che tu non sia così bravo da meritarle). La grande bellezza è stato un film che nel suo piccolo ha messo in difficoltà, perché tocca dei nervi scoperti e ha suscitato reazioni esagitate. Ci sono critici che scrivono di altri film e ancora fanno riferimenti al mio. Per qualche ragione, è rimasto impigliato nella testa. Di certo non è un film che ha lasciato indifferenti».

Sul palco sale Aurelio Grimaldi, un regista, molto stupito dal riferimento alla critica di Sorrentino: a lui era parso invece che gli importasse tantissimo. L’amico di famiglia ricevette molti giudizi negativi e nonostante ciò per Grimaldi rimane uno dei migliori di Sorrentino. Ecco perché non è mai riuscito a spiegarsi perché a un certo punto Sorrentino ne abbia preso quasi le distanze, accodandosi alle opinioni dei suoi detrattori. «No, non ho rinnegato L’amico di famiglia – risponde Sorrentino – ma i film una volta che sono stati fatti per me sono andati, sono stati faticosi da fare, hanno occupato in maniera ossessiva e ottusa la mia mente, però sono più pronto a difendere il prossimo film piuttosto che quella preccedente. Quella sulla critica – precisa – era una battuta: più che la chiusura, auspico un cambiamento. Trovo datati alcuni modi con cui si guardano i film: modi personalistici, che stanno diventando sempre meno utili agli spettatori. I quali ormai se ne fregano di ciò che dicono i giornali. Non c’è più nessuna relazione tra la critica e il pubblico. Non è sempre stato così, in Italia. E non è così in altri posti. Per questo penso che anche i nostri critici dovrebbero fare… autocritica»

Non poteva mancare la domanda su Roma, scenario de La dolce vita e anche de La grande bellezza: «Finalmente posso dare la risposta vera a questa domanda – dice con un tono liberatorio – non quella che fornisco quando me lo chiedono nei luoghi ufficiali. Quello che ho da dire su Roma è del tutto banale, trovo che sia una città così bella che sembra sempre un luogo di villeggiatura. Tutto qui. Non so aggiungere altro. Anche se ogni volta che me lo chiedono, parlo per minuti del del rapporto – complesso, ovviamente – tra me e questa città».

Quando l’intervento finisce tra gli applausi, Sorrentino trova all’uscita decine di persone in fila per un autografo, una foto, due parole. Qualcuno gli dice che La grande bellezza è il film «più emozionante che abbia visto negli ultimi anni». Lui fraintende, pensando gli stesse chiedendo quale fosse il più emozionante che avesse visto lui: «A serious man dei fratelli Cohen», risponde. «Ma non vedo l’ora di vedere Sacro GRA di Gianfranco Rosi». A proposito di Roma."

@nicolamirenzi